Le lancette segnarono le 18:10. “Finalmente” pensò Caterina.
Spense il personal computer, chiuse il suo quaderno degli
appunti, lavò ed asciugò la sua tazza,
ripose tutto nel suo armadietto, si infilò cappotto e guanti, si avvolse il
collo nella sua calda sciarpa e si diresse verso l’uscita.
“Ciao, a domani”
disse con voce bassa e distratta ai colleghi ancora alle loro scrivanie. “Ciao,
buona serata” le risposero senza nemmeno staccare gli occhi dallo schermo.
Aprì la porta e si ritrovò fuori dal grande edificio, tirò
una boccata d’aria fresca e sentì lentamente la tensione accumulata nello
stomaco sciogliersi per un momento.
“Come può un posto in cui fa sempre così
freddo e l’aria condizionata è accesa anche d’inverno essere così soffocante,
come se ci fossero 50 gradi all’ombra?”
Questa domanda Caterina se la ripeteva
spesso ma non aveva ancora trovato una risposta se non nell’intolleranza e nella
sensazione di ansia che alla mattina le attanagliava la pancia mentre era sul
treno dirigendosi in azienda e nel graduale rilassamento della stessa non
appena varcava l’uscita alla sera.
“Forse dovrei concentrarmi su questa domanda abbastanza a
lungo da trovare una risposta e, una volta trovata, decidere che fare” suggerì
alla sua coscienza che si inebriava di aria fresca dopo tante ore passate
immobili davanti ad un sudicio schermo e sotto potenti luci artificiali che le
facevano bruciare gli occhi quotidianamente.
“No, ci penserò un altro giorno,
sembra una serata meno gelida delle precedenti, mi farò una passeggiata per
rilassarmi e godere del fatto che oggi il mio umore non è nero come al solito”.