domenica 24 dicembre 2017

La procrastinazione

Le lancette segnarono le 18:10. “Finalmente” pensò Caterina.
Spense il personal computer, chiuse il suo quaderno degli appunti, lavò ed asciugò la sua tazza, ripose tutto nel suo armadietto, si infilò cappotto e guanti, si avvolse il collo nella sua calda sciarpa e si diresse verso l’uscita.
“Ciao, a domani” disse con voce bassa e distratta ai colleghi ancora alle loro scrivanie. “Ciao, buona serata” le risposero senza nemmeno staccare gli occhi dallo schermo.

Aprì la porta e si ritrovò fuori dal grande edificio, tirò una boccata d’aria fresca e sentì lentamente la tensione accumulata nello stomaco sciogliersi per un momento.
“Come può un posto in cui fa sempre così freddo e l’aria condizionata è accesa anche d’inverno essere così soffocante, come se ci fossero 50 gradi all’ombra?” 
Questa domanda Caterina se la ripeteva spesso ma non aveva ancora trovato una risposta se non nell’intolleranza e nella sensazione di ansia che alla mattina le attanagliava la pancia mentre era sul treno dirigendosi in azienda e nel graduale rilassamento della stessa non appena varcava l’uscita alla sera.

“Forse dovrei concentrarmi su questa domanda abbastanza a lungo da trovare una risposta e, una volta trovata, decidere che fare” suggerì alla sua coscienza che si inebriava di aria fresca dopo tante ore passate immobili davanti ad un sudicio schermo e sotto potenti luci artificiali che le facevano bruciare gli occhi quotidianamente. 

“No, ci penserò un altro giorno, sembra una serata meno gelida delle precedenti, mi farò una passeggiata per rilassarmi e godere del fatto che oggi il mio umore non è nero come al solito”.

domenica 10 dicembre 2017

Il fantasma

Stava lì sull'uscio della porta, con le braccia e le gambe incrociate e la guardava con un certo broncio stampato sul viso, un po' confuso e contorto. Lei era seduta sul letto, un po' raggomitolata su se stessa, aveva quel vestito a fiori che a lui tanto piaceva, sfondo bianco e piccoli fiori blu, i capelli le scendevano sulle spalle e le incorniciavano quel bel viso marcato da un'aria un po' angosciata. Non riusciva a pensare a nulla mentre rivolgeva lo sguardo al pavimento. Respirava piano finché ad un certo punto, sfinita, tirò un lungo e profondo respiro, alzò lo sguardo verso di lui e disse: "Entra, cosa fai lì sull'uscio?"
"Non posso" rispose lui abbassando gli occhi. 
"Allora vai via" disse lei sfiancata dal dolore.
"Non posso" ripeté lui mentre si portava una mano alla fronte che velocemente si corrucciò in un'espressione di disperazione, quasi stesse per piangere.
"Non fare così" sussurrò lei mentre si avvicinava per abbraciarlo. Gli strinse le braccia intorno alle spalle, quasi impaurita di fare la cosa sbagliata e sentì il profumo della sua pelle morbida. Pensò che quel profumo gli sarebbe mancato. 

domenica 3 dicembre 2017

La mia Città

Dal 2012

Tante sensazioni e sentimenti nella vita vanno e vengono, alcuni vanno per sempre e non tornano mai più, alcuni conflitti si estinguono col passare del  tempo stesso, scemano pian piano forse perché erano legati ad un particolare periodo storico, con altri misteriosamente riusciamo a stringere un accordo di pace per un po', senza porre data. E' difficile quantificare quanto durerà un moto dell'anima soprattutto quando si tratta di un rapporto che volenti o nolenti, per sua stessa natura è destinato ad essere eterno! Un po' come con la famiglia, si possono tagliare i ponti, eliminare, ignorare ma è un tipo di legame che non finisce mai. Da un paio di giorni il mio trattato di pace pare si stia infrangendo, sono io a retrocedere, sono io quella che non onora la parola data... si tratta di me e della mia città natale. Ho sempre provato un certo amore/odio. Oggettivamente non è tanto male e devo dire che delle province della mia regione è la migliore, la più "civilizzata", eppure io non riesco ad essere una cittadina modello che la ama e che non la lascerebbe mai, anzi è una vita che non sogno altro che fuggire. Un po' per colpa del mio carattere, della mia costante voglia di evasione, di conoscenza, di voglia di apertura verso altre culture, altre lingue, altre tradizioni, mi piace camminare lungo strade mai viste, mi entusiasma come un acquilone dato per la primissima volta ad una bambina. Un po' per colpa sua, le manca l'aria e l'atmosfera che mi appagherebbero: ci facevo caso per la milionesima volta in questi ultimi due giorni, non c'è un bel caffè accogliente dove sedere e scrivere magari, non c'è un bel parco popolato dove stendersi al sole; è una città che non si può vivere come intendo io vivere una città! Eppure ha un bel centro storico, davvero affascinante, quasi desolato se non fosse per le persone che ci vivono e qualche sporadico turista tedesco/inglese che ci capita. Il corso non è male, non è molto lungo però si presta ad una bella passeggiata... eppure ti annoieresti a passeggiarvi ogni giorno, è una città stantia, sempre uguale. Ci sono città in cui non ti annoieresti mai di fare avanti indietro... qui nsi! Mi chiedo sempre: sono i miei occhi? Le mie percezioni? In parte si, perché so che durante la mia adolescenza è cresciuta con me questa voglia di lasciarla, questa oppressione! Allora quando esco guardo ovunque, cerco di cogliere cose mai colte, cerco di aprirmi ad essa come se la vedessi per la prima volta ma mi sembra tutto forzato, non riesco ad amarla sinceramente, pur amandola... è come una vecchia amica che non sa più darti nulla. Riconosco i suoi pregi, i suoi elementi positivi e ci sono molti piccoli particolari che la rendono unica e che so che mi mancano quando sto via a lungo, sono di quelli che la difendono fuori e la criticano dentro ma le manca l'energia, l'effervescenza, la poeticità che ti trasmettono le città in cui, pur non essendolo, ti senti a casa tua! Sono estasiata dal movimento continuo, dal cambio in cui risiede l'evoluzione e forse lei si muove troppo lentamente per me.

domenica 5 novembre 2017

C'era una volta Fra Cascittune

C'era una volta un paesino in provincia di una città non molto grande ma neppure piccola. C'era una volta un paesino non di campagna ma neppure di montagna dove vivevano tanti vecchietti e qualche bambino. D'inverno era piuttosto silenzioso e quasi triste, il buio rendeva tutto senza vita, la gente rimaneva in casa a guardare la televisione e ripararsi dal freddo. D'estate si trasformava! Tutto era colorato e vivace: la gente camminava su e giù, andava a prender l'acqua alle fontane, a comprare frutta e verdura dai contadini, al mercato a sentire tutti strillare e mercanteggiare, le porte si aprivano e le chiacchiere viaggiano da un angola all'altro. Di giorno era un brusio continuo, di sera si sentivano le cicale e i bambini giocare mentre le vecchiette si raduvano e, sedute in cerchio nello spiazzale, ricordavano i tempi di gioventù, criticavano qualche vicino fastidioso, si lamentavano del dottore che non prescriveva abbastanza medicine e ringraziavano il Signore e la Santissima Vergine di essere ancora in salute nonostante gli acciacchi dell'età. Tra una conversazione e l'altra qualcuna scorreggiava provocando la grassa risata e anche un po' l'invidia delle altre che non si erano tolte questo peso dallo stomaco. 
C'erano poi due bambini di città che terminato l'anno scolastico si trasferivano nel paesino con la nonna per trascorrervi l'estate mentre la mamma continuava a lavorare. Poi, di tanto in tanto, il venerdì sera o il sabato mattina si scorgeva la figura di un uomo magro e pallido arrivare con la sua maglietta verde a striature gialle, pantaloni lunghi e scarpe chiuse nonostante il caldo, una sacca nera sulle spalle con poche cose per trascorrere il finesettimana. Era arrivato il papà. Era un momento eccitante: col papà arrivava la speranza di andare alla fiera sulle giostre pericolose che mamma vietava, passeggiare fino al bar per comprare più gelati di quelli che la nonna permetteva loro di mangiare ma sopratutto ascoltare le storie a puntate che inventava ogni sera prima della nanna. La loro preferita era quella che narrava le avventure/disavventure di Fra Cascittune, un monaco grassoccio e goliardico che ne combinava di tutti i colori suscitando tante risate e gioia nei due bambini. Sono passati più di vent'anni e il ricordo di quelle storielle inventante dal papà nelle calde sere d'estate nel paesino che sembra uscito da un film di Fellini, rimane uno dei ricordi più graziosi e aggraziati nei loro cuori ormai cresciutelli. 

mercoledì 1 novembre 2017

Rebus del corpo

A tratti è muta ma comunica quotidianamente
non ha mani ma ti stringe il cervello in una morsa e
sfacciatamente ti intrappola lo stomaco in un pugno,
insiste col bloccare la gola e accorciare il respiro.
Attentamente, è così che vorrebbe essere ascoltata per smetter di far male.

domenica 22 ottobre 2017

L'inganno

Una considerazione scritta qualche anno fa e mai pubblicata.

Quando le tue azioni o non azioni o il modo di condurle creano dispiacere, angoscia in qualcun altro, senti di averlo deluso. Ma la delusione da che deriva? Da noi stessi o davvero dagli altri? Scaturisce dall'aspettativa che noi stessi ci creiamo oppure l'origine e la ragione vivono davvero nell'altro? La subiamo, ce la creiamo, la riceviamo? "Mi hai deluso", "mi sento deluso", frasi simili ma diverse: nella prima la responsabilità è attribuita all'altro, nella seconda indica uno stato d'animo. L'origine etimologica del verbo delúdere viene dal latino delúdere, composto dalla particella de ovvero di e lúdere cioè prendersi gioco da ludus quindi gioco che figurativamente possiamo interpretare come inganno. Deludere significa quindi prendersi gioco di, ingannare gli altri nell'aspettazione, nella speranza, nella fede, nella credenza. Disingannare. Dare esito contrario alle speranze. Disilludere. Il contrario è soddisfazione, appagamento.

Dare esito contrario alle speranze. Una cosa veramente brutale.
Il contrario è soddisfazione, appagamento.

domenica 15 ottobre 2017

La gita - parte 1

C'era una gran confusione tra la scolaresca, tutti correvano e spingevano gli altri compagni. L'obiettivo era quello di conquistare i posti più ambiti sull'autobus che avrebbe portato due classi in giro per la Grecia. Bisognava sedersi ai posti indietro, più in fondo si stava, più fighi si era e la classe che avrebbe preso il maggior numero di sedili sulle ruote avrebbe dominato la scena. Davanti stavano gli sfigati, i secchioni, vicino ai professori e all'autista. Allora tutti a correre, l'uno contro l'altro senza nemmeno un motivo preciso se non quello di uno status sciocco creato da ragazzini sciocchi. Questo pensava Caterina: "sono tutti dei deficienti". Però pure lei si mise a correre, non voleva sedere con gli sfigati, voleva anche lei il suo posto tra le file posteriori. Lei che aveva sempre voluto primeggiare ed essere in prima fila in tutto nella vita e soprattutto a scuola, ora ambiva a stare in mezzo ai compagni che tanto disprezzava. Nessuno sarebbe stato interrogato e nessuno avrebbe preso un voto durante questa settimana, qui si vinceva diversamente, non era certo il sapere che contava. Bisogna stare nel gruppetto dei compagni spavaldi, quelli popolari, sedere al tavolo con loro, cercare di stare nella stanza dell'albergo con loro. Durante questa settimana contava solo questo. Caterina era riuscita a sedere non proprio nell'ultima fila ma abbastanza indietro da poter stare nell'area della gente che contava. La gita era iniziata e tutto poteva succedere!

domenica 8 ottobre 2017

Senza titolo

Tu mi volevi meno guerrigliera e attaccabrighe
Io ti volevo più inquadrato e tra le righe
Tu mi volevi meno costruita e più sciolta
Io ti volevo un po' più tenero e meno assorto
Ci volevamo un po' diversi
eppur ci volevamo
come non ci aveva voluto mai nessuno prima di noi

domenica 1 ottobre 2017

La nuvola

Tu sai volare?
No, mi muovo su di una nuvola
ma la nuvola si muove lentamente
perché ho una mente pesante
E non puoi buttar via qualcosa?

domenica 24 settembre 2017

Tutto su mia madre

Conosco la tua espressione confusa
quando non capisci qualcosa
la contrazione del tuo viso
quando qualcosa ti infastidisce
il sudore che ti attraversa la fronte
quando sei bloccata di paura
il marmo di statua in cui ti trasformi
quando sei preoccupata o felice
il tuo sorriso che emette un suono senza parole
quando mi rivedi dopo tanto tempo
la tua ironia involontaria
la spontaneità e saggezza con cui riconosci
di non essere un intellettuale
e che non ti pesa
la bellezza con cui ti fai prendere in giro
la rigidità che ti teneva intera da giovane
perchè era l'unico modo in cui potevi non sgretolarti
la morbidezza che hai acquisito con gli anni
la bontà del tuo cuore che è tutta per me
l'eleganza della tua figura che da bambina
mi rendeva orgogliosa e da donna mi manca
quella smorfia in cui ti si contraeva il viso
quando ti adiravi e il rossore che ti invadeva tutta
quando esplodevi
la semplicità con cui accetti le difficoltà
e la forza con cui risolvi i problemi
lo sconforto per quelli che non puoi risolvere
l'entusiasmo ingenuo che ancora mostri
per le cose piccole e belle, tipico di chi ha avuto poco
sognato tanto e dato tutto
la cura instancabile che mostri per chi ami
tu che hai curato tutti e di cui nessuno si è preso cura
tu che non chiedi mai, non offendi mai, comprendi sempre
tu sei l'unico rifugio in mezzo a questa tempesta di neve
dove non sempre si sta bene ma a cui non posso fare a meno di ritornare.
Tu sei l'unico amore sincero che conosco.

domenica 17 settembre 2017

Il silenzio

Oggi è una di quelle giornate in cui non c'è molto da dire, che deve solo passare, finire. C'è tanto odio e una pietra che rotola nello stomaco da un'organo all'altro, speriamo solo rotoli giù, se raggiungesse cuore e cervello chissà che mostro ne verrebbe fuori. Chi lo sa. Nessuno sa mai niente, nessuno ti dice mai niente, nulla viene spiegato, giustificato, analizzato, detto, archiviato. Tutti vogliono che tu dimentichi senza spiegare, tutti vogliono essere perdonati senza chiedere scusa sinceramente, tutti vogliono capiti senza parlare. Alla fine che importanza ha se piove o fa bel tempo, se esci o stai a casa, se spendi o risparmi, se parli o stai zitto. Tutto e tutti evaporano e chi vuoi che resti se ne va, e se ne va proprio perchè vuoi che resti. E se ne va per andare da qualche altra parte e allora l'andare diventa ritorno in un'altra strada che non è quella di casa tua, che non è mai la mano che bussa alla tua porta o la parola detta per le tue orecchie, o la mano per la tua mano. E poi chissà quand'è che sei tu a tornare a casa tua. Perchè tu stai lì e mi guardi e sospiri ma non hai parole. E allora forse per me l'amore era silenzio o parole sciocche dette per coprirlo, ma le parole sciocche il più delle volte mi annoiano quindi non mi resta che il silenzio. E tu dicevi che non ti dava fastidio però ti mancava lo stress della confusione. E allora tu diventi come lui, qualcuno che non conosco perchè con me non ci parlava mai ma da cui pretendevo amore per imparare l'amore così che tu mi avresti amato. E invece no, tutti mi guardavano in silenzio o dicevano sciocchezze o urlavano brutture. E allora forse è meglio il silenzio così almeno non peggioriamo quello che è già irreparabile, tanto prima o poi silenziosamente l'oggi se ne va e lascia spazio al domani.

sabato 9 settembre 2017

Nella terra dei guerrieri vichinghi

Nella terra dei guerrieri vichinghi
ho lasciato rotolare la rabbia giù a valle
Si è dissolta nelle profonde insenature
dove un tempo i ghiacciai bianchi
si sono trasformati in blu profondo
per abbracciare le montagne robuste

Allo stesso modo ti cingevo la vita
quando rischiavi di cadere confuso su di un treno affollato
Su quello stesso treno viaggio da sola
il tuo pensiero mi accompagna distrattamente,
tra sentieri leggendari e panorami mozzafiato
vedo donne che ballano vicino le cascate
e uomini che scalano per raggiungere la cima

E io, tra il verde dei boschi e il rosso delle casette di legno
spalanco gli occhi di meraviglia e
accolgo in cuore una gioia che sa di pace
recuperando quel sorriso di cui Amleto mi aveva privato.

Le avventure di leoncina e topina

C'era una volta una leoncina con gli occhi grandi grandi e una criniera folta e ribelle. La leoncina era nata sana e sprizzava gioia e sorrisi, era empatica, chiacchierona ed esuberante. Parlava con tutti e non aveva paura di dire ciò che pensava. Viveva nella giungla con nonna iena, mamma formica e fratello orsetto. Papà fantasma appariva di tanto in tanto, quando la domenica era libero da impegni presi con gli amici cicale. Mamma formica era laboriosa e si prendeva cura di orsetto, leoncina e nonna iena ma alle volte si trasformava in mamma pecora perchè nonna iena la influenzava facendole credere che era debole. Leoncina ed orsetto giocavano insieme e quasi sempre finivano per litigare. Orsetto non sapeva parlare tanto bene e quando era frustrato voleva risolvere la lite con la violenza fisica. Finiva sempre per attaccare leoncina che si difendeva perchè era una guerriera con uno spirito forte, ma orsetto era più grosso e robusto e vinceva sempre nella lotta fisica. Allora leoncina cominciava a ruggire e ruggire per attirare l'attenzione di mamma formica e nonna iena, le quali mettevano fine alla lite in un clima di confusione e strilla. Nonna iena e mamma pecora prendevano sempre le parti di orsetto, la prima diceva che leoncina era una strega, la seconda era infastidita dal suo ruggire continuo. Quando leoncina faceva notare che lei era quella che aveva ricevuto le botte e che era la parte lesa alla quale non era stato fornito nessun aiuto o risarcimento, mamma pecora con vocina tenera e che non avrebbe intimorito nemmeno le sue amiche zanzare, diceva ad orsetto che non doveva essere violento perchè leoncina era più piccola e meno forte fisicamente. Orsetto ignorava completamente la sua autorità. Mamma pecora e nonna iena raramente difendevano leoncina e davano sempre ragione ad orsetto. Papà fantasma era troppo impegnato ad infestare le case vuote per difendere leoncina. Leoncina continuava a combattere e ruggire e provava a vincere da sola con i mezzi che aveva. Col passare del tempo capì che le mamme pecora e le nonne iena preferiscono inconsapevolmente gli orsetti e li trattano meglio perchè sono meno esuberanti, meno entusiasti, più silenziosi ma sopratutto perchè sono blu. Si rese conto che i fantasmi non ci sono mai quando ti servono e che le leoncine rosa, forti e guerriere, subiscono ingiustizie e tutti vogliono sovrastarle e ridimensionarle con sberle e parole cattive. Un giorno leoncina si svegliò, non voleva più parlare con tutti e non sorrideva più tanto spesso. Si guardò alla specchio e vide un topino, provò a ruggire e non ci riuscì. Sentì il topino squittire. Nonna iena, mamma pecora e papà fantasma avevano perso. Leoncina non ruggiva più felice, ora piangeva ma nessuno di loro sapeva consolarla. Allora decise di tacere perchè loro non potevano capire come si sente una leonessa nella pelle di un topo. Topina cominciò ad ascoltare il vasto silenzio che sapeva di perdita e di assenza e sentì un rumore assordante. Ascoltò con più attenzione, era il suo cuore che batteva troppo forte per un corpo così piccolo. Dottor elefante disse che era malata e aveva bisogno di cure e di un cuore più piccolo, adatto alle sue dimensioni reali. Topina aveva troppo cuore e provava paura ed ansia all'idea di ricevere un cuore che non era il suo. L'avevano già privata del suo corpo, non voleva perdere anche il suo cuore. Si arrovellò in cerca di una soluzione per mesi ma i mesi divennero anni. Finchè una notte si svegliò e capì che il suo cuore batteva troppo forte perchè era un topino con un cuore da leone. E leoncina da un luogo remoto in cui si era persa e nascosta sussurrò "topina resisti, tornerò e non sarai più sola". 

domenica 27 agosto 2017

L'eredità

Io ti ho lasciato un sacco di tenerezza
un cofanetto di dolcezza
un quaderno in bianco
1984 che non hai mai terminato
il suono del silenzio
nessuna lite
il cuore intatto
l'entusiasmo dell'inizio
il vuoto della fine
il coraggio della verità taciuta
la gentilezza di una carezza
la delusione della realtà
la perfezione dell'idealtipo

Tu mi hai lasciato tanta confusione
un bacio non dato
una bugia
la memoria riesumata di quella domenica del 1994
in cui papà non venne mai a prendermi
la bellezza dei tuoi occhi impauriti
la tensione dell'affetto che non diventa amore
la fanciullezza delle risate che ti ho rubato
un pacco di foto che non ci ritrae mai
l'altro lato del letto vuoto
la tristezza della mancanza
la disperazione dell'attesa
la tua assenza che va via col sonno della notte
e si risveglia col sole del mattino