mercoledì 21 aprile 2010

Vorrei tanto sbucciarmi un ginocchio


Autore foto Zaugg Klaus
Una bambina corre dietro i colombi davanti le scalinate della chiesa vicino casa mia, è piccola, avrà al massimo 3 anni, i suoi codini vanno su e giù e sembrano le ali dei volatili  che insegue. Sara corre e spaventandoli li fa levare in volo; cade, si rialza come se nulla fosse successo e riprende il suo gioco,;il mio sguardo si perde per la frazione di un secondo sul cielo e quando ritorna su Sara lei è dall’altro lato della piazza, è caduta altre due o tre volte e altrettante ha continuato a rialzarsi verso i colombini… Mi ritornano in mente le estati della mia infanzia trascorse in paese… era un paese quasi tutto in salita e discesa e io scorrazzavo dalla mattina alla sera su e giù, giù e su finché la stanchezza non mi imponeva di fermarmi … cadevo almeno una volta al giorno e a ricordarmelo c’era quotidianamente una ferita sul ginocchio… forse ho ancora qualche cicatrice… cadevo e proseguivo nelle mie diavolerie… come se nulla fosse successo, proprio come Sara… 
Non posso fare a meno di farmi delle domande. Quand’è che cominciamo a contare i passi prima di farli? Quand’è che analizziamo il percorso prima di batterlo? Quando cominciamo a guardare a terra prima di muovere un passo? Quand’è che cominciamo a camminare avendo paura di cadere? Quando prendiamo coscienza di noi stessi e ci prendiamo così tanto sul serio da credere che la nostra vita sia una cosa talmente importante da doverla preservare per  poi finire, alle volte e per prudenza, a fare il contrario di quello che il nostro istinto ci suggerisce? Quando smettiamo di credere che non sia poi così rischioso sbucciarsi un ginocchio? 
Passiamo l’infanzia a dire che siamo grandi e ad mettere il broncio se qualcuno ci chiama bambino/a e con lo stesso broncio non permettiamo a nessuno di toccare i nostri giocattoli… gli anni fino ai 18 non passano mai, ci sentiamo in trappola, dobbiamo essere scarrozzati ovunque, non possiamo andare dove ci pare e piace e quando ci pare e piace, il più delle volte non ne abbiamo i mezzi… passiamo l’adolescenza a voler crescere per poi ritrovarci dopo i 20 a renderci conto che non c’era nulla di più gradevole di quella cartina geografica sulle gambe che segnava il percorso delle mille cadute o di essere stati sgridati per aver detto “una cosa brutta” all’amichetto di turno… le ragazzine di 15 anni vogliono mettere i tacchi da 12 cm delle mamme e le signore di 50 ambiscono sempre più ad una gamba giovane e soda alla fine della quale calzare una ballerina… il mondo ha sempre girato al contrario e forse è per questo che soffriamo tutti di emicrania quando non capiamo… ci costringiamo o ci costringono a dismettere la calzamaglia di Peter Pan? Ma quando? Quando dobbiamo scegliere il liceo? L’università? Quando il mondo perde di grazia e fantasia e piuttosto che giocare con Ken e Barbie vorremmo essere Ken e Barbie? Quando finisce il disincanto della fanciullezza in cui tutto sembra possibile, in cui ogni giorno vorremmo fare un mestiere diverso e immaginiamo che in America si possa arrivare da una strada segreta e buia che si trova in un boschetto nella città della nostra immaginazione? Sinceramente non lo so io mi ricordo che ero una gran rompiballe, dicevo tutto quello che pensavo senza filtrare nulla… contatto diretto… non c’era un moderatore nel mio cervello, come diceva mia nonna ero una “linguacciuta”!Non mi piaceva leggere, non stavo mai ferma, era una peste, una “capobanda”, una prepotente. E poi puff! A 14, 15 c’è stata un’evoluzione quasi controproducente… ho iniziato a filtrare, a pensare prima di parlare, a leggere libri di una “pesantezza unica”, ho cominciato ad avere un mondo delle idee isolato rispetto alla mia vita reale e ogni tanto scrivevo su questi quadernini segreti quello che non riuscivo più a dire fregandomene delle reazioni che avrebbe potuto produrre. Da lì sono cambiata? Sono “cresciuta”? Fino a prima di allora ho cambiato anche io mille mestieri: volevo fare la stilista, poi la campionessa olimpionica di pallavolo, poi di nuoto, poi di ginnastica ritmica, poi c’è stato il periodo in cui volevo fare l’attrice, poi la cantante e passavo tutto il giorno a stonare i miei vicini, mi mettevo fuori dal balcone della cucina e cantavo svegliando sempre il bambino della signora del piano di sotto…. Poi è arrivata l’era della confusione, non sapevo qual era il lavoro più adatto a me ma cominciai a darmi delle coordinate che devo dire ancora oggi persistono, avrei voluto viaggiare e imparare lingue straniere, altre culture, altre storie… poi mi sono iscritta all’università e adesso che mi manca solo la tesi non ho la più pallida idea di quello che succederà e di quello che vorrei fare… anzi ripensandoci bene mi piacerebbe tanto sbucciarmi un ginocchio….  
Immagine tratta da: http://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-3g010-0006880/

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